Descrizione opera

Confronti prima/dopo il restauro

Prima del restauro / Dopo il restauro

Prima del restauro, luce naturale / luce radente


Prima del restauro / Durante il restauro

Dopo il restauro / Luce infrarossa


Dopo il restauro / Rx

Galleria immagini

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San Giovanni Evangelista e San Francesco

Introduzione

Nonostante la autorevole provenienza, il lascito dei principi Ruspoli y Godoy, e la firma “Dominikos Theotokopulos epoie”, in caratteri greci, presente sulla roccia in primo piano, la critica non aveva negli anni unanimemente attribuito il dipinto, a El Greco, lasciando spesso aperta la questione con un generico El Greco e allievi 1 (fig 1). Secondo quanto riferisce Wethey (1977) il dipinto, eseguito intorno al 1600, appartenne alla famiglia dei duchi di Sueca dai quali passò per eredità a quella Ruspoli y Godoy. Sempre per via ereditaria pervenne a Firenze nel 1904. Il Cossio (1908) legge la firma al centro sul sasso e dopo di lui nessuno studioso vide più il dipinto fino al momento del suo ingresso nella Galleria degli Uffizi 2. Lo studio della superficie durante le operazioni di restauro e le analisi diagnostiche, come la radiografia e la riflettografia IR, oltre alle indagini sui materiali impiegati, hanno rivelato una qualità altissima della pittura originale e alcuni dettagli inconfutabili. Inoltre, al di sotto dello strato più esterno ci sono testimonianze di variazioni compiute in corso d'opera, ora nascoste, ma tipiche spie di un percorso creativo. Queste evidenze consentono di escludere l'ipotesi di una semplice copia. Dell'opera infatti sono conosciute più versioni, di cui una conservata al Museo del Prado e attribuita alla bottega 3 (fig 2). I due personaggi raffigurati sono anche presenti, in pose molto simili, in altre composizioni attribuite al maestro o ad allievi 4 (figg 3-5). Sulla superficie si è poi riscontrato l'utilizzo di materiali specifici, sovrapposti e lavorati con la tecnica peculiarissima di questo artista, che fonde il vigore di un espressionista con la cura di un miniatore.

Lo stato di conservazione della tela, il restauro e la tecnica esecutiva emersa

La scheda conservata nell'archivio dell'Opificio delle Pietre Dure con il GR 7088 nulla descrive dell'intervento presumibilmente svolto nei laboratori della Fortezza da Basso nel 1976, data di acquisizione dell'opera da parte della Galleria degli Uffizi.

Dal 1976 l'opera non viene sottoposta a restauri o a prestiti fino al 2010, data del nostro intervento conservativo e quindi del nostro studio.

Già il Wethney (1977) riferisce sull'eccezionale stato di conservazione del dipinto che infatti è in prima tela ed è tensionato su un telaio in abete con incastri angolari a mezzo legno che prevedono l'espansione in senso orizzontale; la scanalatura visibile sul retro che riduce lo spessore del telaio lungo il profilo della luce potrebbe essere stata praticata per accogliere una pannellatura a protezione del retro oggi perduta (fig.6).

L'osservazione macroscopica del retro della tela rileva alcune aree imperlate di posature di gesso-colla trapelate nella fase di ammannitura e l'impronta del cretto da invecchiamento che si marca particolarmente in corrispondenza del manto in lacca rossa di San Giovanni, come si può verificare dalla osservazione comparata del fronte (fig. 7). La traccia lineare obliqua che si osserva nella zona centrale superiore corrisponde ad una scalfittura che ha interessato lo spessore degli strati pittorici tra la base del calice di San Giovanni e la mano destra del San Francesco, e che fortunatamente non ha interrotto il filato della tela che perciò risulta integra.

Sempre sul retro della tela in alto a destra si legge un monogramma scritto ad inchiostro che potrebbe indicare due V incrociate una diritta ed una capovolta, oppure una A incrociata con una V oppure due X affiancate come a scrivere “Ventesimo”.

In alto a sinistra, sempre con inchiostro nero, è disegnato il numero 6 con la stessa calligrafia del numero 6 dipinto con terra di Siena nell'angolo sinistro della pittura. In basso a destra è invece dipinto in bianco il n.114 ed in rosso rosso il numero 15 puntato; questi risultano dipinti su stuccature di restauro e perciò sono da ritenersi non originali. Il supporto è in filato di lino tessuto con armatura a tela con un rapporto di riduzione di circa 11x11 fili al cmq. La chiodatura è composta da chiodi di natura e grandezza differenti, ma per lo più ricalca quella originale perciò possiamo supporre che nel tempo alcuni chiodi perduti o danneggiati siano stati sostituiti. La preparazione a gesso-colla è stata stesa in maniera uniforme con strumenti tipo spatole (le lastre radiografiche evidenziano chiaramente le tracce ampie e curvilinee lasciate dal filo dell'utensile; da notare come tracce simili sono riscontrabili in molte delle opere autografe).

Il profilo della pittura originale è leggermente interno al telaio ed è ben leggibile lungo il lato sinistro in corrispondenza della figura del San Giovanni, dove, oltre il profilo della pittura, si scopre la tela grezza. Il lato destro, oltre il confine del colore, mostra la tonalità bruno-fredda del fondo cromatico. Sopra l'ammannitura infatti il pittore stende uniformemente un colore a base di terre che utilizza per conferire una particolare tonalità alla pittura e per creare effetti di vibrazione luministica risparmiando o lasciando trasparire a tratti questo fondo attraverso l'impasto cromatico. Il lato inferiore è molto degradato e confuso da più strati di stuccature di restauro e gli angoli sono lacunosi e strappati.

I bordi della tela sono molto indeboliti, sono sfrangiati e lacerati in più punti; lungo il lato sinistro, in corrispondenza della lacuna della tela di rigiro, sul fronte della pittura vi sono le tracce di un arricciamento per compressione che ha causato la perdita degli strati pittorici secondo la forma di due pieghe parallele a forma di archetto che in un precedente intervento sono state distese (fig.8). Su entrambi i bordi laterali abbiamo trovato le tracce della pulitura del pennello del pittore (fig.9), dato questo confrontabile con i dipinti esposti al Museo del Prado di Madrid.

Sul profilo sinistro del dipinto è impressa l'impronta digitale di chi ha manovrato il dipinto quando ancora il colore era molto fresco (fig.10).

Il dipinto è firmato in caratteri della lingua greca sul sasso centrale in basso: “dominikos theotokopulos epoiei” (fig.11-12).

Intervento di restauro

Il nostro intervento è stato un importante occasione di studio e, a livello operativo, ha adottato scelte rigorose e filologiche, nel rispetto del testo pittorico originale arrivato a noi.

Gli obiettivi del nostro intervento sono stati quelli di arginare il degrado risolvendo i problemi di instabilità riscontrati del supporto e degli strati pittorici, ristabilendo quel legame fisico-chimico e meccanico in rapporti di reciprocità tra i diversi materiali che costituiscono l'opera e di ridurre gli elementi di disturbo che compromettevano e alteravano la lettura del testo pittorico.

In questa ottica abbiamo esaminato la reattività del filato di lino e verificato il suo grado di depolimerizzazione giungendo alla considerazione che la tela originale è ancora in grado di svolgere correttamente la sua funzione di supporto.

Nello stesso tempo, abbiamo dovuto valutare le condizioni di fragilità e discontinuità dei bordi perimetrali, la irregolarità della chiodatura ed il conseguente generale allentamento della tensione della tela il cui persistere ha provocato un generale indebolimento della adesione degli strati pittorici al supporto e la rottura degli stessi in corrispondenza del profilo della luce del telaio.

In radiografia si riscontra infatti come El Greco, mostrando assoluta padronanza della tecnica, si serva di molti pennelli, incluso il loro manico, di tipo e grandezze diversi, dai grandi ai finissimi, e con pennellate, cariche e scariche, che si intrecciano in tutte le direzioni.

La radiopacità relativa è inoltre quella peculiare dei dipinti del maestro di Candia, dove soprattutto le stesure dei carnati, grazie alla presenza del bianco di piombo, rivelano pennellate dense e insistite in aree la cui consistenza radiografica varia, in dipendenza più che dall'aspetto finale della pittura, dal processo creativo che a quello ha portato.

Inoltre, numerose sono le variazioni in corso d'opera che si riscontrano. Il pentimento più evidente interessa l'estremità inferiore del saio di Francesco, questo infatti è stato allungato, come dimostra la radiografia. Infatti in questa immagine è visibile una prima stesura del piede destro del Santo completa fino alla caviglia, che è stata poi coperta nella pittura definitiva (fig. 19), in modo da far spuntare dal saio solo l'avampiede.

Come ha rivelato l'analisi XRF, la tavolozza è composta da pochissimi colori, quasi tutti freddi nel timbro cromatico, e per lo più di pregio, come il lapislazzuli. Le stesure blu, infatti, spesso presentano una base di azzurrite, accesa da lampi di intensissimo lapislazzuli.

Il pittore insiste nel conferire una tonalità fredda all'insieme sfruttando il fondo cromatico scuro composto da terre mescolate con giallolino e con un pigmento a base di rame 5, facendolo a tratti trasparire dalle velature di colore stese per la definizione dell'immagine (fig. 23); sul dipinto così abbozzato compone con molti tratti di pennello ricchi di colori puri il profilo delle orecchie, i riccioli delle capigliature, la peluria della lana grossa del saio, l'ombra profonda di labbra dischiuse nell'atto di parlare.

Peculiare è il fatto che per ottenere la profondità dei massimi scuri utilizza il nero mescolato con una lacca; questa conferisce al nero una particolare brillantezza e scherma la pulverulenza tipica del pigmento nero, principale causa di opacità e smagrimento.

L'area della firma non si discosta per tecnica esecutiva dalle zone circostanti, non presenta aree di restauro e risulta del tutto parte della pittura (fig.24), come in altri esempi autografi, la firma è realizzata in materiale non radiopaco e trasparente alla radiazione infrarossa.


  • 1- Nel catalogo ragionato sull’opera del pittore del Museo del Prado, a cura di Leticia Ruiz Gomez, (Gomez, 2007) p 226 il dipinto degli Uffizi è descritto come una pintura con participaciòn del taller: In (Wethey 1977), l’autore non si pronuncia non avendo potuto vedere il dipinto. Mayer (1926,) e Càmon (1950) lo danno come autografo.
  • 2- Chiarini, 1980
  • 3- Si veda ad esempio Ruiz Gomez, Leticia, El Greco en El Museo Nacional del Prado: catálogo razonado, Museo Nacional del Prado, Madrid, 2007, pp. 226-228. Museo del Greco. Guía, Ministerio de Educación, Cultura y Deporte, 2013, pp. 90. Martínez Plaza, Pedro J., 'El coleccionismo del Greco en España (1808-1902)' In:, El Greco & la pintura moderna, Museo Nacional del Prado, Madrid, 2014, pp. 77-99 [95-96 f.53].
  • 4- Lo studio dell’iconografia e il confronto delle varie versioni esulano dallo scopo di questo scritto. Tuttavia si è conoscenza di una versione del dipinto, attribuita alla bottega oggi conservata al Prado, e di altri dipinti dove i due santi sono raffigurati separatametne ma nella medesima posa, come ad esempio il San Francesco conservato al Museo Santa Cruz a Toledo.
  • 5- Le indagini XRF hanno permesso di identificare i pigmenti menzionati, ma non consentono di distinguere tra i pigmenti blu e verdi a base di rame.